Sharing Insights to Lead Remote Teams @ REMOTE.HOW ⚡️ CTO & Operations Lead at Voxloud

As a technology leader passionate about transforming business communications, I’ve spent the last decade building and scaling SaaS products and remote teams across Europe.

Currently CTO & COO (and Co-Founder) at Voxloud, I lead a fully remote, cross-functional team of 50+ professionals spanning 15+ countries. We empower SMBs with cloud-based phone systems that make business communication seamless, reliable, and scalable—without technical obstacles.

My expertise includes:
- Building and scaling SaaS startups from zero to multi-million ARR
- Leading remote teams and fostering high-performance cultures
- Agile operations and continuous process improvement
- Driving innovation in VoIP and cloud telephony solutions with AI

Previously, I co-founded and scaled Voverc, acquired by Wildix, now part of the Voxloud journey.

I regularly share actionable insights on remote leadership and SaaS growth via my newsletter.  
Let’s connect if you’re interested in remote work, SaaS innovation, or digital transformation!

Gabriele Proni

Il 19 novembre l'Italia ha detto basta: niente più chiamate da call center con numeri di cellulare, veri o fasulli. La migliore cosa che potesse capitare alle aziende serie.

E non sto parlando solo di teoria. 

HubSpot - solo per citare il più famoso - ha completamente bloccato la possibilità di usare numeri mobili italiani per chiamare. Li hanno proprio rimossi dagli account dei clienti. 
Ma fondamentalmente tutti i CRM e tutti i software del mondo hanno fatto lo stesso. Blocco totale.

Ho aspettato appositamente 3 settimane per vedere come reagiva il mercato. Volevo i fatti, non le opinioni.

E i fatti sono questi.

Prima di novembre, migliaia di aziende serie usavano numeri mobili per chiamare dai loro centralini. Non perché fossero truffatori, ma perché era l'unico modo per farsi rispondere. 

Il numero fisso? Morto. 
Nessuno rispondeva più pensando fosse un call center.

Il problema è che questa pratica richiedeva l'acquisto e l'attivazione di SIM. Roba noiosa, fastidiosa, che ti obbligava a gestire SIM fisiche collegate a cellulari reali. Un casino per qualsiasi imprenditore serio.

Ora cosa sta succedendo?

I truffatori - quelli delle robocall su Amazon, dei depuratori d'acqua miracolosi, degli investimenti facili - non possono più mascherarsi con numeri italiani. Chiamano con numerazioni estere. E indovina? È facilissimo riconoscerli.

Nel frattempo io, i miei conoscenti, i nostri clienti, stiamo vivendo tutti la stessa cosa: finalmente quando arriva una chiamata da un numero fisso italiano, sai che è un'azienda vera. E rispondi.

Addio al pensiero "devo chiamare col cellulare altrimenti pensano che sia un call center". Finalmente.

Ma c'è di più.

I nostri clienti che si sono fidati di noi hanno iniziato a chiamare e messaggiare su WhatsApp col numero fisso aziendale. E udite udite... nessun danno, nessun problema. Tutto funziona alla grandissima.

Perché con il fisso puoi attivare un numero VoIP fornendo i dati aziendali, fare tutto online, senza dover gestire SIM collegate a cellulari reali. Tutto in cloud. Tutto semplice.

E ora la parte che nessuno sta ancora raccontando.

Con Voxloud puoi ricevere ed effettuare chiamate su WhatsApp usando il tuo numero fisso aziendale. Non solo messaggi. Chiamate vere. Qualcosa che in Italia, oggi, non fa nessun altro centralino cloud.

Finalmente siamo tornati a controllare le nostre numerazioni. 
Finalmente le aziende serie possono farsi riconoscere per quello che sono.

Nella tua azienda state ancora usando numeri mobili per farvi rispondere? O avete già fatto il passaggio al fisso?

CTO & COO | Cloud Telephony & VoIP Expert | Building Voxloud 100% remotely to €3M ARR

Con il vibe coding tutti dicono: “Ora fai prima a farti le cose in casa, perché l’AI ti scrive il codice.”

Bellissimo. Peccato che scrivere il codice sia solo il 20% del problema.

Te lo racconto con un esempio concreto.

Quando abbiamo lanciato le integrazioni native in Voxloud, avevamo una scelta: costruire tutto da zero in-house o comprare un software di terze parti e integrarlo.

Abbiamo scelto di comprare.

Non perché non sapessimo scrivere il codice. Ma perché chi aveva costruito quel software aveva 10 anni di esperienza nel dominio delle integrazioni tra sistemi diversi. Sapeva tutti gli edge case. Sapeva cosa si rompe. Sapeva come gestire fallback, retry, rate limiting, errori strani che capitano solo il 2% delle volte ma ti mandano in crisi.

Noi quella roba lì non la sapevamo. E anche se l’AI ci avesse scritto tutto il codice in un giorno, avremmo comunque dovuto imparare tutto questo sul campo. A nostre spese. Con i clienti in produzione.

Poi, una volta consolidata l’adozione e capito esattamente cosa serviva, l’abbiamo reimplementata in-house. Ma dopo. Quando avevamo l’esperienza. Quando sapevamo dove guardare.

Oggi vedo un sacco di gente convinta che con ChatGPT e Claude possono sostituire qualsiasi vendor. “Tanto mi faccio il centralino custom.” “Tanto mi buildo il sistema di messaging.” “Tanto l’AI mi scrive tutto.”

E poi scopri che non hanno la minima idea di come funziona il codec audio quando la banda si satura. O di cosa succede quando un operatore telefonico fa rate limiting sulle API. O di come si gestisce il failover quando un server SIP va giù. O di come sincronizzare lo stato di una chat tra più dispositivi senza perdere messaggi.

L’AI ti scrive il codice. Ma l’esperienza di dominio no.

E il dominio è tutto. Perché quando costruisci qualcosa per la tua azienda, non stai solo scrivendo righe di codice. Stai costruendo su anni di esperienza che altri hanno accumulato risolvendo problemi che tu ancora non sai nemmeno che esistono.

Non sei esperto di tutti i domini che servono per mandare avanti la tua azienda. Non puoi esserlo. E pensare che l’AI colmi quel gap è un’illusione pericolosa.

Perché l’esperienza delle persone fa ancora la differenza. Anche nell’era dell’AI.

L’AI è uno strumento potentissimo. Ma se pensi che sostituisca 10 anni di esperienza in un dominio specifico, stai per farti male. E te ne accorgerai quando il tuo sistema custom si romperà in produzione su un edge case che il vendor che volevi rimpiazzare aveva già risolto 5 anni fa.

La regola è semplice: usa l’AI per andare veloce su quello che sai. Ma non farti fregare dall’illusione che ti renda esperto di domini che non conosci.

Nel tuo stack, quante cose hai provato a sviluppare in-house pensando che fosse facile con l’AI? E quante volte hai scoperto che l’esperienza di dominio era il vero gap, non il codice?

JSESSIONID

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Talks about #hiring, #remote, #leadership, #technology, and #entrepreneurship

Le piattaforme nocode ti vendono l’illusione che puoi fare tutto da solo. Poi provi e capisci perché esiste ancora il ruolo di IT Manager.

In Voxloud usiamo un mix di Zapier, n8n e i workflow tool del CRM. Abbiamo persone dedicate che non fanno altro. E lo facciamo anche per i nostri clienti quando devono inserire Voxloud nelle loro automazioni.

Non perché siamo masochisti. Ma perché dopo anni abbiamo capito una cosa: il nocode è potentissimo, ma se non sei tecnico rimane comunque tosto.

Te lo spiego con un esempio pratico.

Un cliente vuole automatizzare il lead routing. Sembra banale: “Lead arriva da form → assegnalo al venditore giusto in base alla zona → crea task in CRM → manda notifica su Slack.”

Su carta sono 4 step. In un tool nocode sono 4 box da collegare.

Poi inizi e scopri che devi mappare i campi tra sistemi diversi. Gestire i fallback quando un venditore è in ferie. Capire cosa succede se il CRM non risponde. Loggare gli errori. Testare edge case che non avevi considerato.

E improvvisamente quei 4 box sono diventati 20. E metà delle volte non capisci perché il workflow si è rotto.

Il problema non è il tool. Il problema è che l’automazione richiede mentalità sistemica. Devi sapere come ragionano le API. Devi capire quando un dato può essere null. Devi prevedere cosa si rompe.

Cose che un tecnico sa. E che un imprenditore o un marketer non ha motivo di sapere.

Vedo continuamente imprenditori che partono convinti di “fare tutto da soli con Zapier” e dopo una settimana sono fermi. O peggio: hanno automazioni che girano male e non se ne accorgono nemmeno.

Per questo in Voxloud abbiamo persone dedicate. Non solo per noi, ma per aiutare i clienti a non impantanarsi.

Quindi ti chiedo: nel tuo stack, chi gestisce le automazioni e le integrazioni?

Ti fai tutto da solo? Hai una persona interna dedicata? Ti appoggi a un consulente esterno?

Tutti i sales tool ora hanno “AI-powered” scritto ovunque. Il 90% è marketing. Il 10% funziona davvero. Ti dico qual è.

Settimana scorsa un amico mi chiama entusiasta: “Ho comprato questo CRM con AI che scrive le email di follow-up da solo. Ci farà risparmiare un sacco di tempo!”

Gli chiedo: “Ok, e i tuoi venditori le usano queste email generate dall’AI?”

Silenzio.

“No, le riscrivono tutte a mano perché suonano troppo generiche.”

Benvenuto nel mondo dell’AI nei sales tool. Tanta promessa, poco ROI.

Vedo questo pattern ripetersi continuamente. Vendor che ti vendono feature “AI-powered” a costi gonfiati. Tu che paghi il 30% in più rispetto alla versione base. E poi scopri che quelle feature o non le usi mai, o le usi una volta e ti accorgi che non funzionano come pensavi.

AI email writing? Suona robotico. I venditori lo sanno, i clienti lo percepiscono.

AI lead scoring predittivo? Serve un volume di dati che le PMI B2B non hanno. Con 50 lead al mese non c’è nessun pattern da imparare.

AI conversation intelligence che ti dice il sentiment della chiamata? Bello sulla carta, ma poi ti ritrovi con insight tipo “il cliente sembra frustrato” quando già lo sapevi benissimo ascoltando 30 secondi di chiamata.

Il problema non è l’AI. Il problema è che il 90% di queste feature sono costruite per risolvere problemi che le PMI B2B non hanno. O per sostituire competenze che i tuoi venditori dovrebbero già avere.

Ma c’è un 10% che funziona davvero. E lo vedo tutti i giorni.

Trascrizione automatica delle chiamate? Quella sì. Niente più appunti manuali. Tutto tracciato. Ricercabile. Condivisibile con il team.

Estrazione automatica di dati strutturati dalle conversazioni? Quella funziona. “Il cliente ha menzionato budget di €50K” → automaticamente nel CRM senza che il venditore debba ricordarsi di scriverlo.

Riassunti automatici delle chiamate per il manager? Utili. Invece di ascoltare 45 minuti di chiamata, leggi un riassunto di 3 righe con i punti chiave.

Qualifica automatica di lead tramite Voice AI? Se ben implementata, funziona. Libera i venditori dalle chiamate ripetitive e gli lascia solo quelle che contano davvero.

La differenza tra il 90% inutile e il 10% utile è semplice: il 10% che funziona ti fa risparmiare tempo su attività a basso valore. Il 90% che non funziona prova a sostituire il giudizio umano su attività ad alto valore.

L’AI è bravissima a trascrivere, strutturare, riassumere, estrarre. È pessima a capire il contesto, leggere tra le righe, costruire relazioni, chiudere deal.

E nelle PMI B2B, dove ogni cliente conta e le relazioni fanno la differenza, l’AI che prova a sostituire il venditore è destinata a fallire. L’AI che aiuta il venditore a fare meglio il suo lavoro vince sempre.

La regola è: se il vendor ti vende una feature AI chiediti sempre “questa sostituisce un’attività stupida e ripetitiva o sostituisce il cervello del mio venditore?” Se è la prima, probabilmente funziona. Se è la seconda, probabilmente è fuffa.

“Non è colpa nostra, è colpa loro.”

La frase che ogni IT Manager odia. E che io sento almeno 3 volte a settimana.

Ieri un cliente mi scrive: “L’integrazione tra Voxloud e HubSpot non funziona più, le chiamate non si sincronizzano.”

Apriamo ticket. Andiamo a fondo. Scopriamo che il problema non è né Voxloud né HubSpot. È un workflow su n8n che si è rotto dopo un loro aggiornamento.

E qui parte il circo.

HubSpot: “Il problema è nel workflow, non in HubSpot.”
n8n: “Il workflow funziona, il problema è nell’API di Voxloud.”
Noi: “L’API risponde correttamente, guardate i log.”

Il cliente nel mezzo. Fermo. Con 3 ticket aperti su 3 piattaforme diverse. E nessuno che si prende la responsabilità di risolvere.

Benvenuto nell’inferno del debugging delle integrazioni.

Il problema vero non è tecnico. È di ownership.

Quando hai 3+ sistemi che si parlano tramite API o tool come Zapier e n8n, tecnicamente ognuno può dire “da me funziona” e avere ragione. Perché magari il loro pezzo funziona davvero. Ma il sistema nel complesso è rotto.

E l’IT Manager si ritrova a fare il detective. A leggere log di 3 piattaforme diverse. A ricostruire il flusso del dato. A capire dove si perde l’informazione. Mentre i vendor si rimpallano la colpa.

Ho visto ticket rimbalzare per settimane. Clienti che perdono giorni di lavoro. Integrazioni critiche ferme perché nessuno vuole dire “ok, lo risolvo io anche se tecnicamente non è colpa mia.”

In Voxloud abbiamo fatto una scelta diversa.

Quando un cliente ha un problema che coinvolge Voxloud e un altro sistema, ce ne occupiamo noi. Anche se il problema non è tecnicamente nostro. Anche se è su Odoo, su HubSpot, su un workflow custom che hanno costruito loro.

Perché? Perché il cliente non deve diventare l’intermediario tra vendor. Il cliente vuole che il sistema funzioni. Punto.

Ovvio, non sempre riusciamo a risolvere tutto. Ma almeno ci proviamo. E quando non è proprio nel nostro perimetro, aiutiamo il cliente a capire dove guardare e cosa chiedere all’altro vendor.

Questa scelta ci costa tempo. Ci costa risorse. Ma ci ha fatto guadagnare una cosa che vale molto di più: fiducia.

Perché quando un imprenditore sa che non lo lasci solo in mezzo al ping pong dei vendor, diventa un cliente per sempre.

La regola è semplice: quando vendi integrazioni, non puoi vendere solo il tuo pezzo. Devi prenderti la responsabilità che il sistema funzioni. Anche quando tecnicamente “non è colpa tua”.

Nel tuo stack, quando qualcosa si rompe tra due sistemi, chi si prende la responsabilità di risolvere? E quanto tempo perdi a fare il detective tra vendor che si scaricano le colpe?

Dopo 1.975 progetti di onboarding ho capito perché il tuo CRM sta perdendo il 40% delle chiamate commerciali.

Te lo dico subito: il problema non è il CRM. Il problema è che hai lasciato che fosse il CRM a scegliere il tuo sistema telefonico.

Quando abbiamo lanciato Voxloud non ci siamo fatti troppe domande. Eravamo un’azienda di centralini, ovvio che usassimo il nostro sistema. Zero dibattito interno.

Ma poi è successa una cosa interessante.

Cliente dopo cliente, setup dopo setup, abbiamo iniziato a vedere un pattern che si ripeteva. Imprenditori che arrivavano da noi dopo aver provato la “soluzione telefonica integrata” del loro CRM. Salesforce, HubSpot, Zoho. Tutti con la stessa storia.

“All’inizio sembrava perfetto. Tutto in un unico posto. Poi abbiamo scoperto che mancava il trasferimento di chiamata. Poi l’IVR. Poi le code. Poi il click-to-call dal mobile.”

E sai cosa succede dopo?

Parte il cellulare personale. “Giusto per questa chiamata urgente.” Poi un altro venditore fa lo stesso. Poi un altro ancora. E in sei mesi sei tornato esattamente al punto di partenza: comunicazioni frammentate, dati sparsi, zero controllo.

Il bello è che molti nemmeno se ne accorgono. Il CRM dice “12 chiamate fatte questo mese” ma il venditore giura di averne fatte 50. E ha ragione lui. Solo che 38 le ha fatte dal cellulare personale perché il sistema del CRM non aveva quella funzione base che gli serviva.

Abbiamo visto questo scenario ripetersi centinaia di volte. E ogni volta l’imprenditore era convinto che fosse colpa del venditore “che non usa gli strumenti”. Macché. Era il sistema che non reggeva.

La cosa che mi fa ancora più incazzare è lo switching cost.

Quando leghi il tuo sistema telefonico al CRM, non stai solo scegliendo un fornitore. Stai regalando le chiavi di casa. Perché cambiare CRM diventa così costoso e complesso che finisci per non farlo mai. Anche quando quel CRM non ti serve più.

Noi in Voxloud all’inizio abbiamo fatto tutto inconsapevolmente. Usavamo il nostro centralino perché era il nostro prodotto. Punto.

Ma dopo 1.975 onboarding ho capito una cosa: due sistemi separati ma ben integrati battono sempre un sistema “tutto in uno” monco. Sempre.

Perché quando hai un centralino vero - con tutte le funzioni che servono davvero - e lo integri nativamente con il CRM, ottieni il meglio dei due mondi. Tracciamento perfetto delle chiamate, dati puliti, ma anche la libertà di cambiare CRM quando serve senza dover stravolgere tutto il flusso comunicativo dell’azienda.

E l’impatto non è solo sulle vendite. È sul marketing. Perché quando hai dati puliti sulle chiamate, puoi ottimizzare le campagne. Puoi vedere quali lead chiamano, quali no, quali canali convertono meglio. Cose che con i dati frammentati non vedi mai.

Nel tuo stack, chi controlla chi? Il CRM controlla te o tu controlli il CRM? E soprattutto: hai idea di quante chiamate commerciali stai davvero perdendo senza saperlo?

La Voice AI è figa in demo. Poi vai in produzione e, se non sai cosa stai facendo, rischi di rompere tutto. 

Nelle ultime settimane ho ricevuto una valanga di chiamate da imprenditori che stanno esplorando la Voice AI.
Essendo nel mercato della voce da 10 anni con Voxloud, è naturale che mi chiedano cosa ne penso.

Tutti entusiasti, tutti convinti di aver trovato la soluzione per automatizzare la qualifica dei lead.

E va benissimo. Il fermento c'è, l'opportunità è pazzesca.

Ma poi arriva sempre quel momento in cui mi fanno la stessa domanda: "Ok, ma se un cliente ha un'emergenza e serve parlare con una persona vera, come funziona?"

Ed è lì che casca l'asino.

Perché la Voice AI da sola non risolve niente se poi non si integra con il tuo sistema legacy.
Se non parla con il tuo centralino.
Se non sa quando passare la chiamata a un umano nel modo giusto, al momento giusto.

Prendiamo l'esempio classico: un idraulico riceve 50 chiamate al giorno.
La Voice AI filtra, qualifica, gestisce le prime domande. Perfetto.

Ma quella chiamata alle 23:00 per l'allagamento in cantina?
Quella deve arrivare dritta al telefono del titolare.
Senza passaggi macchinosi.
Senza che il cliente debba ripetere tutto da capo a un operatore umano.

E qui sta il punto.

Vedo decine di operatori che si stanno buttando sulla Voice AI senza avere la minima idea di come funzionano le telecomunicazioni aziendali.
Pensano che basti mettere su un bot e il gioco è fatto.

La verità è che l'AI sblocca il suo vero potenziale solo quando si integra in modo trasparente nei flussi che esistono già.
Quando non è un corpo estraneo, ma parte del sistema.

In Voxloud usiamo con successo l'AI in ambito sales per la qualifica e in ambito supporto per il primo livello di richieste.
Funziona perché è inserita dentro una strategia articolata. Non è un pezzo incollato con lo scotch.

E questa, secondo me, sarà la discriminante nei prossimi anni.
Mentre altri correranno dietro al trend del momento, chi avrà costruito le fondamenta giuste avrà già vinto.

Quali sono i punti di rottura che hai riscontrato nell'implementare l'AI nei flussi di comunicazione della tua azienda?

Ho speso 10 anni a integrare sistemi di billing e HubSpot. I primi 6 mesi sono stati un inferno. Oggi ci mettiamo poche ore.

Il problema non era far parlare i due sistemi. Quello è facile. Il problema era capire cosa fargli dire.

Quando abbiamo fatto partire la prima integrazione tra Voxloud e HubSpot ero convinto che fosse fatta. Un click, qualche campo mappato, e via. “Perfetto, ora abbiamo tutto sincronizzato.”

E invece era solo l’inizio.

Dopo due settimane è arrivato il primo problema: un venditore che mi chiama incazzato perché il suo bonus non tornava. “Ho chiuso 5 contratti questo mese, perché mi avete pagato solo 3?”

Andiamo a guardare. Aveva ragione lui. Due contratti non erano stati conteggiati perché il dato dal billing system non arrivava pulito in HubSpot. 

Ma nel frattempo avevamo anche scoperto l’opposto: altri venditori che avevano ricevuto bonus per clienti che avevano fatto churn entro i primi 90 giorni. Il sistema non tracciava i churn tempestivamente. Risultato: alcuni bonus mancanti, altri pagati a vuoto.

Poi è arrivato il secondo problema: stavamo bruciando budget in ads su lead che sembravano qualificati ma non lo erano. Perché? Perché marcavamo un lead come qualificato nel CRM, ma quella informazione non tornava indietro a Meta e Google. Risultato: continuavamo a spendere soldi per portare lead identici a quelli che già sapevamo non convertire.

E poi il terzo: i bonus venditori calcolati sull’ARPU sbagliato. Perché il dato arrivava dal billing system, ma non teneva conto degli sconti applicati dopo. Altro casino.

Questo era 10 anni fa. Quando eravamo agli inizi e pensavamo che “integrazione fatta” significasse “problema risolto”.

Oggi quei 6 mesi di inferno sono diventati il nostro vantaggio competitivo.

Perché abbiamo capito una cosa: l’integrazione standard è il primo passo. Ma è solo il primo. Una volta che hai i dati che si parlano, ti rendi conto di quanta leva puoi fare maneggiandoli nel modo giusto. E soprattutto di quanti soldi stai buttando se non lo fai.

E oggi quando facciamo onboarding con i clienti, andiamo molto oltre la configurazione del centralino. Perché abbiamo visto troppi imprenditori ripetere gli stessi errori che abbiamo fatto noi. Budget bruciato in ads senza feedback. Bonus gestiti male. Clienti a rischio non intercettati in tempo.

Perché dopo 10 anni sappiamo esattamente dove guardare. Quali dati devono tornare indietro al marketing. Come tracciare i churn per i bonus. Come calcolare l’ARPU reale. Cosa automatizzare e cosa no.

L’integrazione standard è commodity. La vera differenza la fa quello che ci costruisci sopra. I flussi. Le automazioni. L’analisi del dato.

Ogni euro che investi in crescita può rendere il doppio se i dati girano nel modo giusto.

Quanto budget stai bruciando perché l’informazione giusta non arriva al posto giusto al momento giusto?

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